Induzione indebita e fattispecie corruttive
– Cassazione, S.U. n. 52321/2016 –
Secondo Sez. 6, n. 52321 del 13/10/2016 Beccaro, il requisito che contraddistingue, nel suo peculiare dinamismo, la induzione indebita e la differenzia dalle fattispecie corruttive è la condotta comunque prevaricatrice dell’intraneus, il quale, con l’abuso della sua qualità o dei suoi poteri, convince l’extraneus alla indebita dazione o promessa.
Secondo la Corte è vero che anche le condotte corruttive non sono svincolate dall’abuso della veste pubblica, ma tale abuso si atteggia come connotazione (di risultato) delle medesime e non svolge il ruolo, come accade nei reati di concussione e di induzione indebita, di strumento indefettibile per ottenere, con efficienza causale, la prestazione indebita.
La sentenza in esame ha richiamato quanto affermato dalle Sezioni unite “Maldera” che sul tema non hanno valorizzato il profilo dell’iniziativa, quanto, piuttosto, l’esigenza della prevaricazione: «il reato di concussione e quello di induzione indebita si differenziano dalle fattispecie corruttive, in quanto i primi due illeciti richiedono, entrambi, una condotta di prevaricazione abusiva del funzionario pubblico, idonea, a seconda dei contenuti che assume, a costringere o a indurre l’extraneus, comunque in posizione di soggezione, alla dazione o alla promessa indebita, mentre l’accordo corruttivo presuppone la par condicio contractualis ed evidenzia l’incontro assolutamente libero e consapevole delle volontà delle parti».
Per distinguere il reato di corruzione da quello di induzione indebita a dare o promettere utilità, l’iniziativa assunta dal pubblico ufficiale, pur potendo costituire un indice sintomatico dell’induzione, non assume una valenza decisiva ai fini dell’esclusione della fattispecie di corruzione, in quanto il requisito che caratterizza l’induzione indebita è la condotta prevaricatrice del funzionario pubblico, cui consegue una condizione di soggezione psicologica del privato.”.
1. Con sentenza emessa in data 11 dicembre 2014, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza pronunciata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano che, per quello che interessa in questa sede, aveva dichiarato B.M.A. colpevole dei reati di cui agli artt. 81 cpv. e 110 c.p., art. 112 c.p., n. 1, artt. 319 e 321 c.p. e L. n. 146 del 2006, artt. 3 e 4 (capo A della rubrica) e di cui all’art. 81 c.p. e art. 61 c.p., n. 2, e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8 (capo H della rubrica), gli aveva irrogato la pena di anni tre e mesi due di reclusione, previa applicazione delle circostanze attenuanti generiche e della diminuente per il rito, e lo aveva condannato al risarcimento dei danni da liquidare in separata sede in favore della parte civile Comune Trezzano sul Naviglio.
In particolare, il B.M. è stato condannato per il reato di corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio commesso in concorso con altri dall’estate del (OMISSIS) (capo A), perchè, quale componente del collegio sindacale della società Preca Brummel s.p.a., facente capo a P.G., avrebbe messo a disposizione il proprio studio per gli incontri diretti a decidere il pagamento dei compensi illeciti ai pubblici ufficiali ed avrebbe predisposto la falsa documentazione contabile e contrattuale funzionale a creare la provvista per il pagamento delle dazioni corruttive, erogate in più rate per un importo complessivo non inferiore a 230.000 Euro; sono state inoltre ritenute sussistenti le aggravanti del numero di persone superiore a cinque e del ricorso al contributo di un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato. Secondo la sentenza impugnata, l’accordo illecito aveva ad oggetto l’adozione di una pluralità di atti contrari ai doveri di ufficio da parte di R.G., S.O., D.S.A., V.G. e C.M., i primi quali due assessori, il terzo quale capogruppo consiliare del PDL, il quarto quale comandante della Polizia municipale ed il quinto quale responsabile dell’Ufficio edilizia privata del Comune di Trezzano sul Naviglio, a vantaggio degli interessi imprenditoriali del citato P.G., in particolare al fine di consentire a questi di realizzare un “Parco Commerciale” costituito da una grande struttura di vendita; l’operazione corruttiva era realizzata anche con il concorso, tra gli altri, di D.M. ed G.A., entrambi i quali avevano contribuito svolgendo l’attività di mediazione tra i pubblici ufficiali corrotti ed il P., e concorrendo con le loro società a creare la provvista necessaria alle dazioni ed a predisporre la falsa documentazione necessaria per occultare queste ultime.
Il B.M., inoltre, è stato condannato per il reato di emissione di fatture oggettivamente inesistenti al fine di eludere le imposte dirette e l’I.V.A., oltre che di occultare le dazioni corruttive precedentemente descritte, in concorso con P.G. ed G.A., quest’ultima quale amministratrice della società 2 G Consulting s.r.l., la quale aveva emesso i falsi documenti fiscali per un importo complessivamente pari ad oltre 280.000 Euro più I.V.A. nel periodo 2012/2013, egli ed il P. per aver rafforzato il proposito criminoso della G. (capo H).
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe l’avvocato Davide Mauceri, quale difensore di fiducia del B.M., articolando sette motivi.
2.1. Nel primo motivo, si lamenta violazione di legge, con riguardo agli artt. 319, 321 e 319-quater c.p., a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in riferimento alla affermazione della colpevolezza dell’imputato per il reato di corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio invece che per il reato di induzione indebita quale privato indotto alla dazione.
Si premette che la questione, sebbene dedotta per la prima volta in se di legittimità, è ammissibile perchè rilevabile di ufficio ex art. 609 c.p.p., comma 2, attenendo alla qualificazione giuridica del fatto.
Si deduce che l’iniziativa per la commissione del reato non è riferibile a P.G. o al suo gruppo, perchè la richiesta della dazione di denaro è stata formulata da D.M., persona del tutto estranea al gruppo P., e per conto dei pubblici ufficiali, ed è intervenuta in un momento in cui l’imprenditore di riferimento del B.M. era ormai avanti nelle aspettative e negli investimenti necessari: tale circostanza è confermata sia da G.A., sia dallo stesso D., i quali hanno riferito che la domanda dell’illecito compenso o comunque delle pressioni dei politici intervennero dopo la presentazione del Piano di Governo del Territorio, sia da conversazioni e messaggi sms intercettati, anche tra la G. ed il B.M.. Si aggiunge, poi, che il Piano di Governo del Territorio non può ritenersi illegittimo, poichè lo stesso è stato revocato e non annullato dal Commissario intervenuto a gestire l’amministrazione comunale dopo lo scioglimento degli organi ordinari, e, in ogni caso, è stato predisposto da soggetti diversi da quelli coinvolti nel presente procedimento.
2.2. Nel secondo motivo, si lamenta vizio di motivazione, a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in riferimento all’affermazione della colpevolezza dell’imputato per gli accordi e le dazioni corruttive precedenti al febbraio 2013.
Si deduce che le intercettazioni telefoniche poste a fondamento della condanna sono tutte del febbraio e marzo 2013, e provano, in riferimento al ricorrente, una conoscenza attuale a quella data, ma non certo pregressa, dell’accordo illecito. In particolare, il contratto concluso nel (OMISSIS) tra la società ICI del gruppo P. e la società 2 G Consulting di G.A., al quale è seguito il pagamento di 280.000 Euro in cinque rate, dal (OMISSIS), dietro rilascio di cinque fatture (quelle indicate nel capo H), è stato stipulato, per il gruppo P., dall’ingegnere Ma.Cr., e sottoscritto dal P. in persona, ed il B.M. si è limitato ad effettuare i pagamenti in nome e per conto della società ICI. Nessuno, poi, riferisce di un coinvolgimento dell’odierno ricorrente nelle trattative o nella stipula dell’accordo illecito: in particolare, G.A., in una memoria difensiva e nel successivo interrogatorio, nel descrivere analiticamente l’andamento delle operazioni, non solo non ha mai fatto cenno ad un coinvolgimento del B.M. come interlocutore, indicandolo solo come soggetto che ha effettuato i pagamenti previa apposita autorizzazione del P. ed ha trasmesso a quest’ultimo per la firma documenti contrattuali da lei già predisposti, ma ha anche precisato che fino al (OMISSIS) il suo unico interlocutore era l’ingegnere Ma., il quale, per quanto a sua conoscenza, riferiva direttamente al medesimo P.; nella memoria, anzi, la G. ha persino affermato che l’odierno ricorrente “non era al corrente che qualcuno aveva espressamente chiesto soldi al P.”. Le dichiarazioni della G. debbono essere ritenute attendibili anche perchè la donna non aveva alcun interesse a “proteggere” l’imputato, posto che il suo committente è il P.. L’unico elemento a carico del B.M. è allora il business pian: in altri termini, il ricorrente avrebbe dovuto sospettare dell’esistenza di una tangente analizzando la ripartizione delle somme contenute in questo documento, preparato però dalla G. e dal Ma.; tuttavia, egli non aveva motivo per porsi domande su un contratto preparato da altri e condiviso dal P..
2.3. Nel terzo motivo, si lamenta violazione di legge, con riguardo al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in riferimento alla affermazione della colpevolezza dell’imputato per il reato di concorso nell’emissione di fatture per operazioni inesistenti.
Si deduce che le fatture emesse dalla società 2 G Consulting s.r.l. oggetto di contestazione sono tutte relative a pagamenti effettivamente avvenuti e mai restituiti, e, quindi, attengono ad operazioni esistenti. Le fatture indicano come oggetto “consulenza commerciale, tecnica e legale per iniziativa immobiliare Vs. proprietà sito nel Comune di Trezzano”, nè può negarsi che la G. abbia curato, per conto del gruppo P., la pratica relativa al Piano di Governo del Territorio di Trezzano ed i necessari rapporti con gli amministratori di Trezzano. Inoltre, il contratto in esecuzione del quale sono state emesse le fatture rispecchia l’attività complessiva svolta da G.A., e l’attività illecita non solo non è inesistente, ma si è manifestata proprio nei rapporti con il Comune di Trezzano. In linea generale, deve escludersi che il reato tributario sia configurabile solo perchè l’attività effettivamente svolta non è stata correttamente qualificata; d’altro canto, l’annotazione in contabilità delle fatture da parte della società ICI facente capo al P. non ha determinato a questa alcun vantaggio fiscale, posto che i costi sono stati effettivamente sostenuti. I rilievi in questione, in conclusione, secondo la difesa, escludono la sussistenza tanto dell’elemento oggettivo quanto anche di quello soggettivo dl reato contestato.
2.4. Nel quarto, quinto e sesto motivo, esposti congiuntamente, si lamenta violazione di legge, con riguardo alla L. n. 146 del 2006, art. 4 e, comunque, all’art. 59 c.p., comma 2, nonchè vizio di motivazione, a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in riferimento alla affermazione della sussistenza ed alla comunicabilità dell’aggravante della transnazionalità.
Si deduce che l’aggravante – inapplicabile se si ritenesse configurabile il reato di induzione indebita commessa dal privato ex art. 319-quater c.p., comma 2, per i più bassi limiti edittali – non è contestata in modo chiaro e comprensibile, perchè l’imputazione non indica le attività concretamente svolte. Inoltre, le sentenze riferiscono l’aggravante alle condotte di riciclaggio per “ripulire” il denaro illecitamente ottenuto e realizzate attraverso il trasferimento delle somme in Svizzera e Liechtenstein (quest’ultimo Stato non indicato nel capo di imputazione), ma non danno conto di alcuna attività svolta in Francia o in Lussemburgo; in particolare, è irrilevante lo statuto di diritto francese dalla società ICI, la quale ha pagato le fatture emesse dalla società 2 G Consulting s.r.l., poichè i pagamenti in questione sono effettati con bonifico emesso su un conto italiano e diretto ad altro conto italiano; quindi, “tutto ideato, pianificato e controllato in Italia” ed anzi l’aggravante della transnazionalità non è stata nemmeno contestata con riferimento al reato tributario di cui al capo H. Ancora, manca del tutto “la necessaria puntuale individuazione del gruppo criminale organizzato”, e della struttura dello stesso.
Si deduce, in subordine, che, anche a voler ritenere configurabile l’aggravante in questione, non vi sono elementi per riferirla al B.M., tanto più che la sentenza d’appello si è limitata a rilevare che l’odierno ricorrente, quale “ganglio essenziale” non poteva non essere a conoscenza “dell’operare in diversi paesi”. Ed infatti, l’attività di riciclaggio è stata eseguita su decisione e nell’interesse dei pubblici ufficiali, ed è rimasta del tutto sconosciuta anche al P., nè costituisce significativo precedente la sentenza Sez. 2, n. 30898 del 17/06/2014, posto che la stessa si è pronunciata sui ricorsi dei pubblici ufficiali coinvolti. In sintesi, non può ritenersi che il B.M. abbia ignorato per colpa che alcuni dei pubblici ufficiali avrebbero fatto transitare all’estero i proventi illeciti conseguiti.
2.5. Nel settimo motivo, si lamenta violazione di legge, con riguardo all’art. 78 c.p.p., lett. a) e c) e art. 122 c.p.p., a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in riferimento alla ritenuta ammissibilità della costituzione di parte civile del Comune di Trezzano sul Naviglio.
Si deduce che la costituzione è avvenuta in una udienza alla quale erano assenti sia il Commissario Straordinario del Comune, sia il difensore e procuratore speciale, e che il relativo atto è stato presentato dal sostituto del difensore. Si rileva che il difensore nominato anche procuratore speciale non può delegare il potere di costituirsi parte civile (si cita Sez. 4, n. 22601 del 16/06/2005, Fiorenzano, Rv. 231793), e che non può essere valorizzato l’inciso contenuto nella procura speciale rilascia dal Comune all’avvocato Roselli, secondo cui si “conferisce inoltre al difensore sopra indicato la facoltà di nominare sostituti per le udienze, compresa quella di nominare sostituti per la costituzione di parte civile”, perchè altrimenti si ammetterebbe la sub-delegabilità ad libitum nonostante l’esigenza di una indicazione nominativa del procuratore speciale. Si aggiunge, inoltre, che la nomina a sostituto effettuata dall’avvocato Roselli all’avvocato Frasca si limita a delegare genericamente quest’ultimo all’esercizio “di tutte le facoltà di legge”.
3. In data 4 ottobre 2016, l’avvocato Roberta Nicoletta Roselli, quale difensore di fiducia della parte civile Comune di Trezzano sul Naviglio ha depositato in Cancelleria memoria e nota spese.
Nella memoria, si osserva, innanzitutto, quanto all’ammissibilità della costituzione di parte civile, che alla prima udienza davanti al Giudice dell’udienza preliminare erano presenti il Commissario Straordinario del Comune di Trezzano sul Naviglio ed il difensore e procuratore speciale avv. Roselli, e che il giudice, preso atto della volontà espressa in quella sede dal Commissario Straordinario, aveva rinviato l’udienza per consentire all’Amministrazione di pubblicare la delibera di costituzione di parte civile già adottata.
Si contestano, poi, tutte le doglianze esposte negli altri motivi del ricorso del B.M., evidenziandosi, in particolare, con riferimento al primo motivo, l’elevato spessore professionale del medesimo, la coincidenza dei pagamenti con lo “sblocco” di licenze commerciali necessarie per realizzare l’insediamento del “Parco Commerciale”, il contenuto delle intercettazioni del settembre 2012, nel corso delle quali il ricorrente mai ha formulato richieste di chiarimenti circa le operazioni in corso o da compiere, la predeterminazione delle scelte del Piano di Governo del Territorio in omaggio ad interessi privati, nonchè, con riferimento al secondo motivo, il ruolo svolto sin dall’inizio dal ricorrente nell’architettare le operazioni di ingegneria finanziaria che consentirono la creazione della provvista in “nero” per il pagamento delle somme illecitamente corrisposte ai pubblici amministratori.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato con riferimento al primo, al secondo, al terzo ed al settimo motivo, mentre deve essere accolto in relazione alle censure esposte nel quarto, quinto e sesto motivo, per le ragioni di seguito precisate.
2. Privo di fondamento, sebbene ammissibile, è il primo motivo del ricorso, nel quale si chiede che al fatto sia data la qualificazione giuridica di induzione indebita ex art. 319-quater c.p., e non, invece, come hanno ritenuto i giudici di merito, quella di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio.
3. La questione è ammissibile, in linea con il principio consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la Corte di cassazione, almeno nel giudizio sul merito della regiudicanda, ha il potere di qualificare diversamente i fatti ex art. 609 c.p.p., comma 2, ferma restando la necessità che ciò non avvenga a “sorpresa” per la difesa (cfr., da ultimo, in motivazione da Sez. 6, n. 3716 del 24/11/2015, dep. 2016, Caruso, Rv. 266953).
Nel caso di specie, la questione, pur se non dedotta con l’atto di appello, ha costituito comunque oggetto di specifico approfondimento nella sentenza di secondo grado (cfr. le analitiche motivazioni svolte specificamente in argomento da pag. 188 a pag. 191), ed è stata prospettata proprio dalla difesa al fine di determinare una meno grave qualificazione dei fatti a carico del ricorrente, nonchè, conseguentemente, anche un meno severo trattamento sanzionatorio.
Da quanto indicato, discende l’assenza non solo di ogni preoccupazione di riqualificazione a “sorpresa”, per l’imputato, ma anche dell’esigenza di evitare che la Corte di legittimità sia sollecitata ad affrontare in prima istanza il profilo della esatta definizione giuridica della fattispecie (sulla base di questa considerazione Sez. 5, n. 48416 del 06/10/2014, Dudaev, Rv. 261029, decidendo in sede di procedimento cautelare, ha ritenuto inammissibile un ricorso che prospettava per la prima volta in sede di legittimità tale questione).
4. La censura nel merito, però, è infondata.
4.1. Premessa indispensabile per valutare se la definizione giuridica dei fatti in contestazione sia stata correttamente individuata dai giudici di merito, è utile muovere dalle osservazioni esposte da Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, dep. 2014, Maldera, Rv. 258474.
Secondo questa decisione, elemento differenziale tra il delitto di induzione indebita e le fattispecie concessive si caratterizza principalmente “cogliendo le connotazioni del rapporto intersoggettivo tra il funzionario pubblico e l’extraneus e, segnatamente, la presenza o meno di una soggezione psicologica del secondo nei confronti del primo”. Precisamente, “Ciò che rileva è il diverso modo con cui l’intraneus, nei due delitti, riesce a realizzare l’illecita utilità: la corruzione è caratterizzata, come si è detto, da un accordo liberamente e consapevolmente concluso, su un piano di sostanziale parità sinallagmatica, tra i due soggetti, che mirano ad un comune obiettivo illecito; l’induzione indebita, invece, è designata da uno stato di soggezione del privato, il cui processo volitivo non è spontaneo ma è innescato, in sequenza causale, dall’abuso del funzionario pubblico, che volge a suo favore la posizione di debolezza psicologica del primo”. In questa prospettiva, se è vero che “indice sintomatico dell’induzione è certamente quello dell’iniziativa assunta dal pubblico agente”, l’elemento decisivo, ai fini in questione, è la prevaricazione compiuta da tale soggetto, quale presupposto indispensabile per ottenere la dazione illecita: “Il requisito che contraddistingue, nel suo peculiare dinamismo, la induzione indebita e la differenzia dalle fattispecie corruttive è la condotta comunque prevaricatrice dell’intraneus, il quale, con l’abuso della sua qualità o dei suoi poteri, convince l’extraneus alla indebita dazione o promessa. E’ vero che anche le condotte corruttive non sono svincolate dall’abuso della veste pubblica, ma tale abuso si atteggia come connotazione (di risultato) delle medesime e non svolge il ruolo, come accade nei reati di concussione e di induzione indebita, di strumento indefettibile per ottenere, con efficienza causale, la prestazione indebita”. Non a caso, nell’enunciazione del principio di diritto, le sezioni unite non richiamano il profilo dell’iniziativa, mentre sottolineano l’esigenza della prevaricazione: “il reato di concussione e quello di induzione indebita si differenziano dalle fattispecie corruttive, in quanto i primi due illeciti richiedono, entrambi, una condotta di prevaricazione abusiva del funzionario pubblico, idonea, a seconda dei contenuti che assume, a costringere o a indurre l’extraneus, comunque in posizione di soggezione, alla dazione o alla promessa indebita, mentre l’accordo corruttivo presuppone la par condicio contractualis ed evidenzia l’incontro assolutamente libero e consapevole delle volontà delle parti”.
In linea con questi principi, si è orientata anche la giurisprudenza successiva che ha valorizzato il profilo della posizione di preminenza in concreto esercitata dal pubblico ufficiale (cfr. Sez. 6, n. 50065 del 22/09/2015, De Napoli, Rv. 265750).
Del resto, una conferma che la “iniziativa” del pubblico ufficiale, pur potendo costituire un indice orientativo per l’interprete, non assume valenza decisiva ai fini dell’esclusione della sussistenza di una fattispecie di corruzione è desumibile anche dal testo dell’art. 322 c.p.: questa disposizione, nel comma 3 e nel comma 4, prevede la configurabilità del reato di istigazione alla corruzione anche quando sia il pubblico ufficiale a sollecitare una promessa o dazione di denaro o altra utilità, rispettivamente per l’esercizio delle sue funzioni o per il compimento di atti contrari ai doveri di ufficio.
4.2. La sentenza impugnata, dopo aver premesso che, anche quando l’iniziativa proviene dalle parti, è comunque configurabile il reato di corruzione, e non quello di induzione indebita, se il rapporto è caratterizzato da una posizione di “paritarietà”, ha indicato “una pluralità di indici inequivoci della ritenuta paritarietà”. In particolare, ha richiamato: a) la presenza di più consulenti operanti per conto dei pubblici ufficiali e per il privato; b) il contenuto di alcune frasi dei pubblici ufficiali, pronunciate nel corso di colloqui intercettati, evocative di “occhio di riguardo”, o comunque altrimenti sintomatiche come “vedere cammello e pagare denaro”; c) l’impegno spiegato dai pubblici ufficiali per trovare soluzioni utili al privato erogatore delle somme, come l’intervento di C.M., responsabile dell’ufficio edilizia privata del Comune di Trezzano sul Naviglio, su richiesta di G.A., consulente di Giuseppe P., finalizzato a consentire a quest’ultimo l’acquisto a condizioni meno onerose di un terreno necessario per realizzare il complessivo progetto edilizio e commerciale programmato, intercedendo presso A.D., proprietario di questo fondo; d) l’attività “pilotata” dei pubblici ufficiali al fine di assicurare il buon esito dei controlli sulle licenze commerciali del gruppo imprenditoriale facente capo a P.G.; e) le espressioni impiegate dalla consulente G.A. nei messaggi inviati a P.G. o nelle conversazioni con B.M.A. del tipo “la nostra squadra ha vinto la partita di andata”, ovvero “siamo primi in classifica”; f) le affermazioni di P.G. e di B.M.A. al momento dell’esecuzione delle ordinanze cautelari e delle contestuali perquisizioni, captate mediante intercettazioni, con le quali il primo, in quel momento in Svizzera, dice ad una figlia: “tranquilla è un pò di burocrazia”, mentre il secondo si lamenta del coinvolgimento nella vicenda di troppi soggetti, a differenza di quanto avveniva in precedenza (“prima, nell’edilizia, era solo uno a trattare con gli enti pubblici”); g) la forza economica del gruppo economico facente capo al P., di dimensione internazionale, contrapposta alle contenute dimensioni del Comune di Trezzano sul Naviglio, e, quindi, alla “statura modesta” dei pubblici funzionari coinvolti.
A fronte di questi elementi, il ricorso sottolinea che l’iniziativa per la commissione del reato è riferibile a D.M., consulente da parte dei pubblici ufficiali, e che le richieste e le pressioni dei pubblici ufficiali intervennero dopo l’approvazione del Piano di Governo del Territorio da parte del Comune.
4.3. Per una più precisa comprensione delle valutazioni compiute dai giudici di merito, è importante individuare le coordinate generali nelle quali si collocano le condotte illecite, per come ricostruite nella voluminosa sentenza impugnata, in termini non oggetto di specifiche contestazioni da parte della difesa.
4.3.1. Il gruppo imprenditoriale facente capo a P.G. intendeva realizzare un “Parco Commerciale” costituito da una grande struttura di vendita, insediandolo su un immobile di sua proprietà, sul quale, nel 2012, insisteva la struttura commerciale denominata “(OMISSIS)”, anch’essa riferibile al P.. A tal fine, si rendevano necessari molteplici iniziative, incidenti sia su profili urbanistici ed edilizi, sia sulle licenze commerciali di interesse del gruppo imprenditoriale in questione.
Sotto l’aspetto urbanistico ed edilizio, era necessario acquisire un’area attigua, sulla quale insisteva l’asilo comunale, per ampliare la superficie utile, ed un’ulteriore area, sulla quale realizzare un nuovo asilo comunale, in sostituzione di quello ricadente sull’area da inglobare in quella già di proprietà delle società facenti capo al P., e, quindi, ottenere delle destinazioni edificatorie confacenti di tutte queste aree: di qui, la necessità di incidere sul Piano di Governo del Territorio del Comune di Trezzano sul Naviglio. Questo Piano, dopo una lunga fase di gestazione, nel corso della quale era stata depositata, in data 9 agosto 2011, una istanza nella quale si prospettava la realizzazione del Parco Commerciale in questione, previa modifica della disciplina urbanistica all’epoca vigente, ed inglobando l’area su cui insisteva l’asilo nido, era stato approvato il 26 settembre 2012, e depositato per le osservazioni, che potevano essere presentate a partire dal 23 gennaio 2013. Tra le osservazioni presentate, vi erano la n. 59, presentata dalla società “I.C.I.”, riferibile al P., e proprietaria dell’area su cui a quella data insisteva la struttura commerciale denominata “(OMISSIS)”, nonchè la n. (OMISSIS), presentata da “Allmet Italia” s.p.a., facente capo a A.D., incidente sull’area che il gruppo P. intendeva acquisire per realizzare il nuovo asilo comunale. In data 22 marzo 2013, con Delib. n. 51, il Consiglio comunale di Trezzano sul Naviglio accoglieva parzialmente l’osservazione n. 59 e rigettava l’osservazione n. 73. Il risultato di questa determinazione del Consiglio comunale fu l’attribuzione al gruppo P., che nelle more tra la Delib. del 26 settembre 2012 e la Delib. del 22 marzo 2013 aveva acquistato l’area di cui era precedentemente proprietaria la “Allmet” s.p.a, della possibilità di una estesa edificabilità dell’area su cui insisteva la struttura commerciale denominata “(OMISSIS)”.
Sotto il profilo delle licenze commerciali, notevoli problemi nascevano dall’esigenza di trasferire l’attività della struttura commerciale denominata “(OMISSIS)” dall’immobile ubicato in via Copernico, su cui si imperniava il progetto di realizzazione del “Parco Commerciale”, in un altro immobile, sito in (OMISSIS), di pertinenza della società “B.i.m. s.p.a.”, estranea al gruppo P., e nel quale era commercializzato il marchio Conbipel.
Innanzitutto, la “Carma” s.r.l., società del gruppo P. che gestiva l’attività denominata “(OMISSIS)”, per guadagnare tempo, aveva effettuato operazioni di vendita di liquidazione: tuttavia, la comunicazione inviata al Comune in data 9 ottobre 2012 non solo avrebbe consentito tali cessioni solo a partire dal 24 ottobre 2012, mentre le stesse erano iniziate il 20 ottobre 2012, ma, per di più, non poteva contenere gli elementi richiesti dalla L.R. Lombardia n. 6 del 2010, art. 114, perchè avrebbe dovuto recare l’indicazione dell’autorizzazione al trasferimento della nuova sede, mentre questa in realtà intervenne solo nel marzo 2013, e sulla base di un contratto stipulato tra “Preca Brummel”, altra società del gruppo P., e “B.i.m. s.p.a.” solo in data 12 dicembre 2012.
Peraltro, la comunicazione era stata redatta, grazie ai “buoni uffici” di D.M., con la “collaborazione” di V.G., comandante della polizia municipale di Trezzano sul Naviglio, e previ contatti con R.G., assessore comunale con delega (anche) al commercio ed attività produttive, e C.M., responsabile dell’ufficio edilizia privata del Comune.
Un ulteriore problema era poi sorto in occasione della reintestazione della licenza “(OMISSIS)”. Questa licenza era in capo alla società “Carma”, che esercitava l’attività commerciale in virtù di contratto di affitto di ramo d’azienda con la già indicata “I.C.I.”, stipulato il 30 ottobre 2010 e con scadenza 30 settembre 2012; di conseguenza, alla scadenza del contratto di affitto di ramo di azienda, la licenza doveva essere trasferita alla “I.C.I.”, come espressamente precisato anche nel testo del contratto del (OMISSIS). Si era così manifestata la necessità di verificare l’esistenza se l’edificio in (OMISSIS) nel quale aveva fino ad allora operato la società “Carma” presentasse difformità rilevanti sotto il profilo edilizio: da ciò, era seguito, in data (OMISSIS), il sopralluogo effettuato da V.G., il quale, però, non aveva riscontrato nessuna irregolarità.
L’esistenza di irregolarità, tuttavia, era stata segnalata dagli uffici del Comune e di essa erano consapevoli i responsabili delle società del gruppo P.; emblematicamente, G.A., in un colloquio telefonico con l’odierno ricorrente in data 20 febbraio 2013, aveva rappresentato il buon esito dello “pseudo sopralluogo, chiamiamolo così”, perchè il pubblico ufficiale aveva “chiuso gli occhi”, e, per questo, aveva ricevuto dall’interlocutore i “complimenti come sempre”.
Inoltre, il subingresso di “Preca Brummel” nell’autorizzazione ex-(OMISSIS) avvenne sulla base di segnalazione certificata di inizio attività inoltrata al Comune di Trezzano sul Naviglio il 18 marzo 2013. Però, l’immobile ex (OMISSIS) di (OMISSIS) non era in regola da un punto di vista della normativa edilizia, in quanto oggetto di una istanza di sanatoria non definita, e per la quale anzi non era stata nemmeno corrisposta la somma dovuta a titolo di oblazione, ed era sprovvisto di certificato di agibilità sia di certificato di prevenzione incendi (C.P.I.), come espressamente dichiarato anche nel contratto di affitto di ramo di azienda stipulato in data (OMISSIS) tra “B.i.m. s.p.a.” e “Preca Brummel”; tali circostanze avrebbero dovuto o comunque potuto essere oggetto di accertamento da parte del Comune all’atto del subingresso di “Preca Brummel”. Anzi, il trasferimento delle attività commerciali “(OMISSIS)” in quanto diretto verso un immobile di superficie superiore ai 2.500 metri quadrati, quale era l’immobile (OMISSIS), non sarebbe potuto avvenire tramite semplice subingresso nell’autorizzazione ex-(OMISSIS), ma avrebbe richiesto, a norma del combinato disposto del D.Lgs. n. 114 del 1998, L.R. Lombardia n. 6 del 2010, artt. 4 e 6, una nuova autorizzazione commerciale da adottare all’esito di una conferenza di servizi, nella quale coinvolgere anche Regione e Provincia; tale adempimento avrebbe richiesto tempi non brevi ed avrebbe comportato il rischio dell’emersione delle irregolarità di cui si è detto. Dalle intercettazioni ambientali relative ad un incontro tra il D., il C. ed il R. nell’ufficio di quest’ultimo, risulta la piena consapevolezza di costoro che la superficie dell’immobile sul quale le attività “(OMISSIS)” stavano per essere trasferite era superiore ai 4.000 metri quadrati.
4.3.2. Le dazioni di denaro da parte del gruppo P. ai pubblici ufficiali, eseguite attraverso i consulenti G.A. e D.M., erano iniziate già nel 2012 ed erano proseguite nel 2013. In particolare, una erogazione per un importo pari a 48.000 Euro più I.V.A. avveniva nei primissimi giorni del marzo 2013 su disposizione del P., con somme rese disponibili dal B.M. alla G., la quale riceveva il denaro sui conti della società “2 G Consulting” s.r.l., e lo girava sui conti bancari controllati dal D.; quest’ultimo, poi, provvedeva a trasformare le disponibilità bancarie in denaro contante e a trasferirlo ai pubblici ufficiali. Nel corso di un successivo incontro tra la G., il P. ed il B.M., in data (OMISSIS), la donna precisava che erano stati già effettuati pagamenti ai pubblici ufficiali per 230.000 Euro, e si programmavano ulteriori pagamenti. Durante un ulteriore colloquio telefonico, intercorso tra il P. ed il B.M. in data 7 maggio 2013, il primo evidenziava la necessità di “sistemare tutte le persone… del Comune”, ed il secondo, dopo aver detto “il PGT”, aggiungeva “e quelli sono 80.000 (Euro)”, così evidenziando l’importo ancora da corrispondere ai pubblici ufficiali di Trezzano sul Naviglio; inoltre, i due parlavano di come rinviare l’esborso di 150.000 Euro per la stipula della convenzione con il Comune per la permuta dell’area sulla quale costruire il nuovo asilo, ed il B. precisava che la disponibilità di questa somma era meno impellente: “in pratica mi servirebbero solo questi 80.000 per chiudere il PGT, il resto si può fare in un altro modo”.
In particolare, somme di denaro provenienti dal gruppo P. risultano essere state percepite dai pubblici ufficiali R.G., S.O., D.S.A., V.G. e C.M., i primi due quali assessori del Comune di Trezzano sul Naviglio, il terzo quale capogruppo consiliare del PDL presso il medesimo comune, il quarto quale comandante della Polizia municipale ed il quinto quale responsabile dell’Ufficio edilizia privata del Comune di Trezzano sul Naviglio. Trattasi, tra l’altro, di circostanza non contestata ed oggetto di applicazione di pena ex art. 444 c.p.p. nei confronti degli stessi, con sentenza divenuta irrevocabile, a seguito di dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi da parte della Corte di cassazione (Sez. 2, n. 30898 del 17/06/2014, Velardita ed altri).
4.4. Questo essendo il contesto di riferimento, le valutazioni della sentenza impugnata sono immuni da vizi logici e giuridici.
Gli indici fattuali sottolineati dalla Corte d’appello come indicativi della “paritarietà” del rapporto tra i pubblici ufficiali e la controparte trovano ampia valorizzazione nella circostanza che l’esercizio delle pubbliche funzioni da parte degli amministratori e funzionari del Comune di Trezzano sul Naviglio si caratterizzò in termini di assistenza continuativa per le svariate necessità del gruppo imprenditoriale facente capo al P.. Da un lato, infatti, ripetute furono le omissioni nel rilevare le numerose irregolarità incidenti sulle licenze commerciali di interesse del gruppo P., manifestatesi in particolare sia con riferimento alla vendita di liquidazione dell’ottobre 2012, sia con riferimento al trasferimento delle attività della “Preca Brummel” nell’immobile ex-(OMISSIS) avvenuta nel marzo 2013, sia con riferimento alla reintestazione della licenza “(OMISSIS)” dalla società “Carma” alla società “I.C.I.”, in relazione alla quale si verificò l’episodio dello “pseudo sopralluogo” del (OMISSIS). Dall’altro, evidente fu l’atteggiamento di “attenzione” alle esigenze attinenti alle scelte urbanistiche: addirittura, il Consiglio comunale di Trezzano sul Naviglio, in data 26 marzo 2013, modificò il Piano di Governo del Territorio, nel testo originariamente approvato in data 26 settembre 2012, in parziale accoglimento dell’opposizione n. 59 della società “I.C.I.”, ma rigettò l’opposizione n. 73, che avrebbe potuto essere in contrasto con gli interessi di questa; si tratta, invero, di una decisione che, quand’anche non illegittima alla stregua di ulteriori considerazioni, deve ritenersi comunque connotata da un elevato tasso di discrezionalità con esiti, non necessitati, di pieno interesse per il gruppo P. ed ampliativi della sfera giuridico-patrimoniale della società “I.C.I.”. In questo contesto, somme significative, quali quelle erogate nei primissimi giorni del marzo 2013, furono corrisposte successivamente ad attività amministrative illegittimamente compiute, come lo “pseudo sopralluogo” del (OMISSIS), e precedentemente ad altre attività amministrative, poi esercitate discrezionalmente in favore degli interessi del gruppo P., come la delibera comunale del 26 marzo 2013 che modificò il Piano di Governo del Territorio all’esito dell’esame delle osservazioni formulate dagli interessati; inoltre, la programmazione dei pagamenti, per importi notevoli, ed anche in relazione al Piano di Governo del Territorio già approvato, continuò in epoca ben successiva a tale atto amministrativo, come risulta dalla conversazione tra il P. ed il B.M. il 7 maggio 2013.
Questo essendo il quadro di riferimento, anche volendo ritenere ascrivibile l’iniziativa” per la stipulazione di un accordo illecito ai pubblici ufficiali, può correttamente concludersi nel senso della configurabilità del delitto di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio e non invece di quello di induzione indebita: è comunque accertato, in termini immuni da vizi, l’elemento decisivo, e cioè l’assenza di una situazione di prevaricazione in danno del privato, e la presenza, invece, di un duraturo rapporto di scambio tra esercizio delle funzioni pubbliche sistematicamente attento ad agevolare gli interessi del privato e ripetute erogazioni di denaro da quest’ultimo verso i pubblici ufficiali. In altri termini, una volta ricostruita l’esistenza di una situazione di “parità” tra le parti dell’accordo illecito, perde ogni rilevanza il profilo dell’iniziativa”.
5. Privo di fondamento è anche il secondo motivo del ricorso, nel quale si deduce l’assenza di elementi idonei ad affermare la penale responsabilità penale del B.M. per i fatti precedenti al febbraio 2013, e precisamente per le dazioni erogate fino a quella data, e a partire dal (OMISSIS).
5.1. La sentenza impugnata ha ritenuto provata la partecipazione del ricorrente a tutte le fasi delle operazioni in cui si realizzò l’attività corruttiva, nella consapevolezza della loro illiceità, contribuendo alle stesse mediante la spendita delle proprie competenze tecnico-professionali. In particolare, secondo i giudici di merito, il B.M. predispose la falsa documentazione contabile e contrattuale funzionale a creare la provvista per il pagamento delle dazioni corruttive, architettando le operazioni attraverso le quali formare il cd. “nero”, supportò le attività svolte da G.A. per il buon esito del progetto, pose il suo studio di (OMISSIS) a disposizione per almeno tre riunioni (nelle date del (OMISSIS)) alle quali parteciparono lui, la G. e P.G. per esaminare le questioni poste dallo sviluppo dell’affare”, elaborò con il P., nella telefonata del 7 maggio 2013, il programma per gli ulteriori pagamenti illeciti; inoltre, estremamente significativo, ai fini della dimostrazione della partecipazione dell’imputato a tutte le fasi della condotta illecita, deve ritenersi il riferimento effettuato nella telefonata del 12 marzo 2013 dalla G. e dal B.M. alle tangenti ed al business plan.
Sulla base di questi elementi, la Corte di appello ha escluso che possa ritenersi che il ricorrente “si accorse all’improvviso di uno scenario insospettabile, alieno rispetto alla sua natura e al suo ruolo”, scenario “che solo per l’inveterata amicizia con il P. non denunciò apertamente, nè in ultima analisi, cercò di sabotare”, e che, a tal fine, è irrilevante “atomizzare singoli lacerti di dichiarazioni della G. e dello stesso P., tratte dagli interrogatori, per confortare la tesi dell’ingenua ignoranza dell’imputato”.
La difesa ha contestato la riferibilità al ricorrente dei pagamenti precedenti al febbraio 2013, sottolineando che il contratto concluso nel luglio del 2012 tra società “I.C.I.” del gruppo P. e la società “2 G Consulting” di G.A., al quale erano poi seguite le dazioni corruttive, è stato stipulato, per conto del gruppo P., dall’ingegnere Ma. e sottoscritto dal P. in persona, che nessuno ha riferito su un consapevole coinvolgimento del ricorrente – tanto che, anzi, secondo la G., l’unico suo interlocutore era l’ingegnere Ma. ed il B.M. era all’oscuro delle richieste illecite formulate al P. – e che l’odierno imputato non aveva ragioni per porsi domande sull’effettivo contenuto del business plan, in quanto preparato da altri e condiviso dal P..
5.2. Le censure appena indicate si pongono al limite tra la denuncia di un vizio di motivazione e la richiesta di una rivalutazione del materiale istruttorio, al fine di ottenere una diversa valutazione dello stesso.
Ad ogni modo, non può ritenersi manifestamente illogica, neppure in una prospettiva dell’accertamento della colpevolezza al di là del ragionevole dubbio, la ricostruzione effettuata nella sentenza impugnata.
Indubbiamente, è corretto il punto di partenza dei giudici di secondo grado, per l’analisi retrospettiva sulla consapevolezza del concorso in attività corruttive sin dalla fase iniziale delle stesse, dell’accertamento del pieno coinvolgimento, non solo operativo, ma anche programmatico, del B.M. nell’elaborazione delle strategie necessarie per creare le disponibilità di denaro e fissare i tempi di possibile erogazione delle dazioni. Non manifestamente illogica, inoltre, è la valorizzazione della conversazione telefonica della G. con il ricorrente in data 12 marzo 2013: nel corso del colloquio la donna, laddove parla delle somme da erogare, si esprime al plurale (“acconti ulteriori rispetto a quelli che ci avevano preventivato”), fa riferimento agli importi da pagare (dice: “ha presente i nostri conteggi? (…) si ricorda che c’era i cinquecento di totale? (…) e ne avevamo detratti… speravamo in una prima fase da circa la metà (…) duecentotrenta mi pare (…)”), e poi rammenta all’interlocutore che la ripartizione delle somme era predeterminata nel business planning (“di tutti i lavori un tot era per…”), ottenendo in risposta dall’odierno ricorrente: “sì, me lo ricordo… me lo ricordo”.
Non può trascurarsi, inoltre, che il B.M. risulta aver seguito non solo gli aspetti contabili e contrattuali della vicenda, ma tutti i profili delle operazioni intraprese: emblematicamente, l’imputato è informato dalla G. anche dello “pseudo sopralluogo” effettuato dal comandante della Polizia municipale di Trezzano sul Naviglio V.G. sull’edificio sito in (OMISSIS) per verificare se l’immobile presentasse difformità edilizie rilevanti, le quali potevano incidere ai fini del passaggio della licenza commerciale “(OMISSIS)” dalla società “Carma” alla società “I.C.I.”. Proprio in relazione a questo fatto, anzi, la sentenza impugnata, in modo non manifestamente illogico, sottolinea che l’imputato, avendo appreso che il funzionario comunale aveva “chiuso gli occhi”, aveva detto alla G.: “complimenti, come sempre”, e che, quindi, lungi dal contestare l’illegalità o comunque dal manifestare sorpresa per quanto appena appreso, aveva dato dimostrazione della sua consuetudine nella condivisione di comportamenti illeciti.
Con riferimento al ruolo svolto dall’ingegnere Ma.Ch., poi, la sentenza impugnata riporta una conversazione intercorsa tra questi e D.M. in data 23 gennaio 2013, oggetto di intercettazione telefonica, nella quale si parla della vicenda di Trezzano. Nell’occasione, il Ma. afferma: “io dal boss ( P.), l’anno scorso non ho preso un Euro… uno uno uno… zero, proprio zero… è finita… poi come vedi adesso giustamente lei ha… lui ha rapporti con la A. ( G.)… è lui sul pezzo… penso che ci sia B. è sul pezzo… ehhh… io io è un anno che faccio altro, M. ti dico la verità…”; il D., dal canto suo, riferisce all’interlocutore di un pagamento di 20.000 Euro presso un autogrill dell’autostrada nel (precedente) “mese di agosto” e ricorda: “all’area di servizio in autostrada al telefono per chiamare B. per 20.000 Euro…”.
Dal testo della decisione, quindi, emerge l’estraneità del Ma. all'”affare” già (almeno) dall’agosto del 2012.
6. Infondato, ancora, è il terzo motivo del ricorso, nel quale si contesta la configurabilità del concorso di B.M.A. nel reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, con riferimento ai documenti rilasciati dalla società “2 G Consulting s.r.l.”, facente capo ad G.A. e ricevuti dalla società “I.C.I.” del gruppo P..
6.1. La sentenza impugnata ha ritenuto il ricorrente responsabile del delitto in questione in quanto: l’imputato era nella piena consapevolezza della falsa rappresentazione contenuta nelle fatture in questione, essendo anzi l’ideatore del meccanismo finanziario e contabile elaborato per “coprire” la tangente; le operazioni documentate erano inesistenti, perchè l’inesistenza deve riferirsi “a quella operazione, siccome indicata”; sussisteva il fine di evadere le imposte, sia pur concorrente con quello di occultare il pagamento della “tangente”, perchè i documenti emessi erano tali da rappresentare un costo deducibile, e quindi concretamente utili a far evadere il fisco da parte della società “I.C.I.”.
La difesa ha contestato la conclusione della Corte d’appello evidenziando che la società “2 G Consulting s.r.l.”, attraverso G.A., aveva realmente effettuato prestazioni di consulenza per iniziative immobiliari del gruppo P. in (OMISSIS), così come indicato nelle fatture, e che il reato fiscale non può derivare da una non corretta qualificazione del costo, del resto effettivamente sopportato dalla società “I.C.I.”.
6.2. Nella giurisprudenza di legittimità, è stato espressamente affermato il principio secondo cui, tra le “operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte” di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 1, comma 1, lett. a), qualificate come “inesistenti” ai fini della configurabilità dei reati di cui agli artt. 2 ed 8 del citato decreto, devono intendersi anche quelle “giuridicamente” inesistenti, ovvero quelle aventi una qualificazione giuridica diversa (così Sez. 3, n. 13975 del 06/03/2008, Carcano, Rv. 239910, che ha annullato una sentenza di merito la quale aveva escluso la natura di operazioni inesistenti in relazione ad alcune operazioni di finanziamento dissimulato mediante l’emissione di fatture recanti come oggetto quello concernente acconti su forniture).
Il principio indicato deve essere condiviso, almeno quando l’operazione dissimulata è sottoposta ad un trattamento fiscale diverso da quello riservato all’operazione formalmente documentata.
Invero, il D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 1, comma 1, lett. a), prevede che “per “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi”.
Può innanzitutto rilevarsi che la disposizione citata qualifica “fatture (…) per operazioni inesistenti” anche quelle concernenti “operazioni (…) che indicano (…) l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale”. Ora, quando si fatturano come prestazioni di servizi per consulenze quelle che sono, invece, ricezioni di somme illecitamente corrisposte nell’adempimento di un accordo corruttivo si indica un imposta sul valore aggiunto superiore a quella reale: quest’ultima, se è dovuta per le attività di consulenza, non è certamente prevista per le dazioni corruttive, e, in ogni caso, se pagata, non può essere certamente computata in compensazione (“scaricata”) dal soggetto ricevente la fattura nei suoi rapporti con il Fisco.
Inoltre, il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 1, comma 1, lett. a), prende in considerazione le fatture per il loro “rilievo probatorio”. A tal proposito, assume significato decisivo il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, rubricato “fatturazione delle operazioni”: lo stesso, in particolare, prevede, al comma 2, che le fatture debbano specificamente indicare: “(…) g) natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell’operazione; h) corrispettivi ed altri dati necessari per la determinazione della base imponibile, compresi quelli relativi ai beni ceduti a titolo di sconto, premio o abbuono di cui all’art. 15, comma 1, n. 2; i) (…); l) aliquota, ammontare dell’imposta e dell’imponibile con arrotondamento al centesimo di Euro; (…)”; stabilisce, poi, al comma 3, che “Se l’operazione o le operazioni cui si riferisce la fattura comprendono beni o servizi soggetti all’imposta con aliquote diverse, gli elementi e i dati di cui al comma 2, lett. g), h) ed l), sono indicati distintamente secondo l’aliquota applicabile. (…)” (si è riportato il testo dell’art. 21 vigente dalla data dell’1 gennaio 2013 al 31 dicembre 2016, per effetto della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, ma non risulta sostanzialmente diverso il contenuto della disposizione vigente nel corso del 2012, in forza di quanto stabilito dal D.Lgs. 11 febbraio 2010, art. 1). E’ allora evidente che una fattura emessa al fine di “coprire” l’erogazione di un importo effettuato per una causale completamente diversa da quella indicata, è mendace, e quindi tradisce la sua funzione probatoria, con riferimento a plurimi elementi che, per legge, debbono essere oggetto di specifica attestazione.
Il mendacio appena indicato, poi, è rilevante anche ai fini delle imposte dirette quando i costi coperti dal documento fittizio non sono riconosciuti dall’ordinamento, con riferimento alla causale effettiva, ai fini della determinazione dell’imponibile: il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8 sanziona penalmente l’emissione di fatture per operazioni inesistenti non solo se questa attività sia commessa al fine di consentire l’evasione delle imposte sul valore aggiunto, ma pure se la stessa sia indirizzata a determinare l’evasione delle imposte sui redditi. La non riconoscibilità dei costi connessi a delitti dolosi in tema di imposte dirette, poi, discende dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4 bis, il quale – per effetto del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, convertito dalla L. 26 aprile 2012, n. 44 – prevedeva, al tempo delle condotte in contestazione, che: “Nella determinazione dei redditi di cui all’art. 6, comma 1, del Testo Unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 424 c.p.p. ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 c.p.p. fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’art. 157 c.p. (…)”. Nè può dubitarsi circa la classificazione delle erogazioni di denaro a titolo di dazioni corruttive come costi o spese direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo.
Qualora poi sia accertata l’emissione di fatture aventi ad oggetto costi in realtà non deducibili, ovvero recanti una imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, e risulti inoltre la piena consapevolezza dell’indebito vantaggio fiscale derivante dall’utilizzo di tali fatture, deve ritenersi integrato anche l’elemento psicologico. Invero, la disposizione incriminatrice di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8 non richiede che il fine di evasione delle imposte costituisca un fine esclusivo; di conseguenza, lo stesso può essere benissimo concorrente con altre finalità.
6.3. Nella vicenda in esame, si è già evidenziato come la sentenza impugnata, con motivazione immune da vizi, abbia riferito ad B.M.A. la funzione di consapevole “architetto” delle operazioni finanziarie e contabili che servirono a formare la provvista necessaria per occultare tutte le dazioni corruttive. Si può rammentare, inoltre, come gli importi indicati nel capo di imputazione, pari a 280.000 Euro più I.V.A., e riferiti alle fatture emesse dalla società “2 G Consulting s.r.l.” e ricevute dalla società “I.C.I.”, siano esattamente corrispondenti a quelli indicati da G.A. nel corso della riunione del (OMISSIS) nello studio del ricorrente, e alla presenza anche di P.G.: in quell’occasione, la donna, dopo aver ricordato la presenza di “più bocche da sfamare”, e fatto cenno ai “preventivi” di spesa del business planning, dice: “280 di contratto che in realtà 50 sono andati a me per i professionisti e tutto l’iter fatto e 230 sono andati ai signori”.
Non sussiste, poi, nè è anche solo allegato, alcun elemento idoneo ad ipotizzare che il B.M., dottore commercialista e sindaco di numerose società, non fosse pienamente consapevole dei vantaggi fiscali derivabili per la società “I.C.I.” dalla utilizzazione delle fatture emesse per un importo complessivamente pari a 280.000 Euro, oltre I.V.A., e recanti la falsa causale della prestazione di “consulenza commerciale, tecnica e legale per iniziativa immobiliare Vs. proprietà sito nel Comune di Trezzano”, sotto il profilo tanto delle imposte sui redditi, quanto di quelle sul valore aggiunto.
7. Fondate, invece, sono le doglianze formulate nel quarto, quinto e sesto motivo di ricorso, che contestano la configurabilità della aggravante della transnazionalità di cui alla L. n. 146 del 2006, art. 4, e, comunque la riferibilità di essa, sotto il profilo soggettivo ad B.M.A..
7.1. La sentenza impugnata ha ravvisato l’esistenza di un gruppo criminale organizzato transnazionale alla luce delle attività di occultamento del denaro in Svizzera e Liechtenstein e dei rapporti telefonici intercorsi tra gli imputati, diretti a far transitare le somme dall’Italia in Svizzera, e a farle poi rientrate nel territorio nazionale “ripulite”. Ha poi ritenuto che l’odierno ricorrente non potesse essere inconsapevole di tale attività, in quanto “ganglio essenziale” della vicenda nell’interesse del gruppo P..
La difesa censura questa impostazione evidenziando che manca del tutto “la necessaria puntuale individuazione del gruppo criminale organizzato” e della struttura dello stesso, che “tutto (fu) ideato, pianificato e controllato in Italia”, tanto che anzi l’aggravante della transnazionalità non è stata contestata con riferimento al reato tributario, e che, in ogni caso, non sussiste il coefficiente soggettivo richiesto dall’art. 59 c.p..
7.2. Deve premettersi che la valutazione delle circostanze aggravanti a carico dell’agente in base all’art. 59 c.p., comma 2, riguarda non solo quelle antecedenti o contemporanee alla condotta dell’agente, ma anche quelle successive, con la conseguenza che, in relazione a queste ultime, la conoscenza o l’ignoranza per colpa significano “previsione” o “prevedibilità” della circostanza, atteso che si può parlare di “conoscenza” o di “ignoranza per colpa” in relazione a dati già esistenti e non a quelli che vengono a essere integrati in un momento successivo alla condotta (così Sez. 6, n. 12530 del 24/09/1999, Tinnirello, Rv. 216393).
Nella vicenda in esame, pur volendo ammettere l’esistenza di un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato, in ordine al quale la Corte d’appello si limita in verità a scarne indicazioni, manca qualunque elemento per ritenere che il ricorrente abbia ignorato per colpa la sussistenza degli elementi fattuali integranti la circostanza in questione.
Ed infatti, la ponderosa sentenza impugnata, se documenta plurimi rapporti tra il B.M., la G. ed il P., non evidenzia alcun indizio in ordine a rapporti tra il medesimo B.M. ed i pubblici ufficiali destinatari delle erogazioni illecite. Tale circostanza è di estrema importanza, perchè l’uscita, l’occultamento e la “ripulitura” delle somme all’estero avvenne esclusivamente per decisione ed opera dei pubblici ufficiali, in collaborazione con altre persone, una volta ricevuti i compensi corruttivi per il tramite dei mediatori, ma senza alcun ausilio da parte di questi ultimi o di persone legate al gruppo di imprese facente capo a P.G.. Si può poi aggiungere che la destinazione delle somme ad una pluralità di persone (sono cinque gli amministratori e funzionari del comune di Trezzano sul Naviglio ad aver chiesto l’applicazione della pena ex art. 444 c.p.p.) e l’erogazione delle stesse per un importo pari a 230.000 Euro nel corso di un arco di tempo non breve (pari o superiore a sette mesi) non sono elementi idonei, di per sè, a rendere prevedibile in concreto il compimento di operazioni all’estero e, ancor meno, il ricorso dei pubblici ufficiali al contributo di un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato al fine di occultare e “ripulire” le somme ricevute a titolo di corruzione.
8. Infondate, infine, sono le censure formulate con il settimo motivo di ricorso, con il quale si lamenta l’inammissibilità della costituzione di parte civile del comune di Trezzano sul Naviglio, per essere stata la stessa depositata dal sostituto del difensore, in assenza sia del commissario straordinario del Comune, sia del difensore e procuratore speciale.
Se, infatti, costituisce principio consolidato in giurisprudenza quello secondo cui il potere di costituirsi parte civile è delegabile solo dalla persona offesa o dal danneggiato, ma non dal procuratore speciale, è, allo stesso modo, approdo ampiamente condiviso quello per il quale l’assenza di legittimazione del sostituto processuale del difensore ad esercitare l’azione civile nel processo penale può essere sanata mediante la presenza in udienza della persona offesa, che consente di ritenere la costituzione di parte civile come avvenuta personalmente (così, tra le tante, per la contemporanea affermazione di entrambi i principi, Sez. 4, n. 24455 del 22/04/2015, Plataroti, Rv. 263730 e Sez. 5, n. 19548 del 03/02/2010, Schirru, Rv. 247497).
Nella vicenda in esame, secondo quanto evidenziato nella memoria della parte civile, alla prima udienza davanti al Giudice dell’udienza preliminare erano presenti il Commissario Straordinario del Comune di Trezzano sul Naviglio ed il difensore e procuratore speciale avv. Roselli, ed il giudice, preso atto della volontà espressa in quella sede dal Commissario Straordinario, rinviò l’udienza per consentire all’Amministrazione comunale di pubblicare la delibera di costituzione di parte civile già adottata. Poste queste circostanze, non contestate dalla difesa dell’imputato, l’eccezione concernente la non delegabilità della procura speciale si presenta come formalistica: la presenza del Commissario Straordinario del comune di Trezzano sul Naviglio e del difensore e procuratore speciale nella prima udienza davanti al giudice dell’udienza preliminare e le ragioni del rinvio dell’udienza sono circostanze che attribuiscono al sostituto del difensore e procuratore speciale nella successiva udienza il ruolo di mero nuncius della parte sostanziale, delegato sì al perfezionamento delle formalità richieste, ma in ordine ad una volontà già ufficialmente manifestata davanti al giudice ed alle altre parti processuali da parte del soggetto titolare dell’azione civile.
9. L’infondatezza delle doglianze con riferimento alla configurabilità dei reati di corruzione e di emissione di fatture per operazioni inesistenti, e la assenza di qualunque elemento per ritenere che il ricorrente abbia ignorato per colpa la sussistenza degli elementi fattuali integranti l’aggravante dalla transnazionalità di cui alla L. n. 146 del 2006, art. 4, impongono l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente a quest’ultima, che va pertanto esclusa, ed il rigetto del ricorso nel resto.
Debbono essere tuttavia trasmessi gli atti ad altra sezione della Corte d’appello di Milano per la rideterminazione della pena. L’eliminazione dell’aggravante della transnazionalità, infatti, essendo l’aumento per questa circostanza applicato subito dopo la determinazione della pena base, ma prima della riduzione per le circostanze attenuanti generiche e dell’aumento di pena per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, implica l’individuazione di un diverso termine di riferimento sul quale poggiare per il computo dell’entità di questi due ulteriori segmenti del trattamento sanzionatorio. Il mutamento della base di calcolo in termini più favorevoli all’imputato, ovviamente, consente al giudice del merito di determinare in maniera più ampia l’entità della riduzione della pena per le già concesse circostanze attenuanti generiche, fissata in nove mesi nella sentenza impugnata, o al più di confermarla, ma non certamente di computarla in misura inferiore; per le stesse ragioni, il giudice del rinvio potrà determinare in misura più mite l’entità dell’aumento di pena per la continuazione, fissata in due mesi nella sentenza impugnata, o al più di confermarla, ma non certamente di computarla in misura maggiore.
Al rigetto del ricorso con riferimento alla configurabilità dei reati per i quali è intervenuta la costituzione di parte civile, segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile comune di Trezzano sul Naviglio, che si stima equo liquidare in Euro 4.000 (quattromila), oltre spese generali nella misura del quindici per cento, I.V.A. e C.P.A..
PQM
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all’aggravante cui alla L. n. 146 del 2006, art. 4, aggravante che esclude.
Rigetta nel resto il ricorso e dispone trasmettersi gli atti ad altra sezione della Corte d’appello di Milano per la rideterminazione della pena.
Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla costituita parte civile, che liquida in complessivi Euro quattromila, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..
Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2016.
Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2016