L’aggravante di cui al comma 2 dell’articolo 589-bis cod. pen

– Cassazione, Sez. IV, n. 17000/2016 –

Secondo Cass., Sez. 4, n. 17000 del 5 aprile 2016, Scalise, Rv. 26664, la  formulazione testuale dell’aggravante di cui al nuovo comma 2 dell’articolo 589-bis cod. pen.  sarebbe tale da ricomprendere espressamente anche la condotta qualificata da colpa generica. In tale prospettiva, non si ritiene indispensabile che la violazione della regola cautelare rappresentata dall’essersi posto alla guida in condizioni pregiudicate abbia avuto una efficacia di tipo causale rispetto all’evento mortale, «nel senso che l’ipotesi incriminatrice pare configurabile anche allorquando l’incidente non risulti essersi verificato in ragione dell’alterazione del conducente, cui questo quindi risulti addebitabile per altri e diversi profili di colpa», ferma restando la necessità di verificare la sussistenza del nesso causale fra la condotta e l’evento dannoso derivatone (nesso da escludere quando sia dimostrato che l’incidente si sarebbe ugualmente verificato senza quella condotta o quando risulti parimenti provato che esso è stato, comunque, determinato esclusivamente da una causa diversa al conducente non imputabile)

In tema di delitti colposi, per stabilire la sussistenza del nesso causale tra la condotta del soggetto attivo e l’evento, occorre verificare la sussistenza non solo della causalità della condotta (ovverossia della dipendenza dell’evento dalla condotta in cui quest’ultima si ponga come “condicio sine qua” non, in assenza di decorsi causali alternativi eccezionali, indipendenti e imprevedibili), ma altresì della sussistenza della causalità della colpa (intesa come introduzione, da parte del soggetto agente, del fattore di rischio poi concretizzatosi con l’evento, posta in essere attraverso la violazione delle regole di cautela tese a prevenire e a rendere evitabile il prodursi di quel rischio).

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza resa il 16 ottobre 2014, la Corte d’appello di Milano, 5 Sezione penale, confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Milano, in data 27 gennaio 2014, aveva assolto S. G. dal reato p. e p. dall’art. 589 c.p., commi 1 e 2, (in relazione all’art. 145 C.d.S., commi 1 e 2), reato a lui contestato in relazione all’incidente occorso il (OMISSIS), in esito al quale perdeva la vita la giovane R.M. P.; il fatto si era verificato a un incrocio, in occasione di una manovra di svolta a sinistra eseguita dallo S. con il suo furgone, mentre il ciclomotore condotto dalla R. procedeva nell’opposto senso di marcia; secondo l’imputazione, il fatto che il furgone dello S. avesse tagliato la strada al ciclomotore, violando il diritto di precedenza spettante a quest’ultimo, cagionava il sinistro, in esito al quale la R., caduta a terra, riportava lesioni da trauma che ne cagionavano il decesso il giorno dopo.

Nella pronunzia della Corte territoriale ha trovato conferma, pur a fronte delle impugnazioni del Procuratore generale presso quella Corte e della parte civile, la ricostruzione operata in primo grado, in base alla quale, alla luce delle prove raccolte, veniva innanzitutto tendenzialmente escluso che tra il ciclomotore condotto dalla R. e il furgone condotto dall’imputato vi fosse stato un impatto, e veniva accreditata l’ipotesi che il sinistro fosse dovuto a una distrazione della R., che avrebbe usato il suo telefono cellulare mentre conduceva il suo motorino (come emergerebbe dal testo di alcuni sms debitamente trascritti e inoltrati dalla vittima negli attimi immediatamente precedenti il sinistro); a fronte di ciò, restava bensì confermato che il furgone condotto dallo S. non aveva dato la precedenza al ciclomotore della R., la cui traiettoria avrebbe attraversato lo spazio impegnato dal furgone dello S. con la manovra di svolta; ma con la dirimente precisazione che l’imputato, nell’effettuare detta manovra (con la quale, per l’appunto, attraversava la traiettoria della R.), aveva correttamente stimato la distanza, procedendo a velocità moderata, ed aveva comunque completato la manovra quando il motorino rovinò a terra all’altezza dell’incrocio.

2. Avverso la prefata sentenza ricorrono le parti civili A. R.M. ed R.E.M., per il tramite del loro difensore, con unico atto articolato in cinque motivi.

2.1 Con il primo motivo si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento al fatto che la sentenza impugnata non ha tenuto nel debito conto il fatto che l’imputato non aveva rispettato l’obbligo di dare la precedenza al motorino, e che ciò aveva avuto rilevanza causale nell’incidente; viene lamentata inoltre la contraddittorietà della sentenza impugnata in riferimento alla ritenuta mancanza di urto fra il furgone e il ciclomotore, circostanza che in sè, peraltro, non è decisiva ai fini dell’esclusione della responsabilità dell’imputato.

2.2. Con il secondo motivo si denuncia omessa motivazione in riferimento ai motivi d’appello, con particolare riguardo a quanto dedotto circa l’immediata e stretta continuità fra la manovra di svolta a sinistra dell’imputato e la caduta del motorino della giovane.

2.3. Con il terzo motivo si lamenta vizio di motivazione con riferimento alla decisione della Corte territoriale di discostarsi dalla consulenza tecnica del pubblico ministero, attestante la violazione dell’obbligo di dare la precedenza da parte dell’imputato, e la causazione del fatto; nonchè con riferimento alla decisione di escludere la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, con la quale era stato richiesto l’espletamento di una perizia 2.4. Con il quarto motivo viene censurato il vizio di motivazione in riferimento all’omessa valutazione della deposizione di B. E., ritenuta decisiva in relazione alla ricostruzione dei fatti, con particolare riguardo alla circostanza che, secondo la testimonianza de qua, la R. avrebbe inviato gli sms non già mentre era alla guida del ciclomotore, ma quando era a casa della stessa B..

2.5. Con il quinto e ultimo motivo si denuncia violazione di legge e/o vizio di motivazione in riferimento alla formula assolutoria, atteso che l’elemento mancante del reato sarebbe semmai quello soggettivo, e non quello oggettivo.

3. All’odierna udienza, le ricorrenti hanno rassegnato conclusioni scritte e hanno depositato nota spese; ha concluso altresì il responsabile civile CARIGE Ass.ni, chiedendo la conferma della sentenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Si premette, doverosamente, che secondo il costante indirizzo della Corte regolatrice in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (fra i molteplici arresti in tal senso, si vedano Sez. 6, n. 47204 del Vita, Rv. 235507; Sez. 2, Sentenza n. 31978 del 14/06/2006, Bencivenga, Rv. 234910). Perciò si sottrae al sindacato di legittimità la valutazione del giudice di merito in esito alla quale egli esponga, con motivazione congrua e logica, le ragioni del suo convincimento.

Ad ulteriore premessa valga quanto evidenziato, in modo appropriato e condivisibile, dalla Corte di merito circa il fatto che la tesi degli odierni ricorrenti vale al più a suggerire una lettura alternativa delle emergenze probatorie, ma non certo a ribaltarne l’esito in modo univoco, con ciò che ne consegue in punto di possibilità di pervenire a un giudizio di penale responsabilità: si ricorda che il principio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio” non può essere utilizzato, nel giudizio di legittimità, per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto emerse in sede di merito su segnalazione della difesa, se tale duplicità sia stata oggetto di puntuale e motivata disamina da parte del giudice di appello (ex multis vds. Sez. 1, n. 53512 del 11/07/2014, Gurgone, Rv. 261600; Sez. 5, Sentenza n. 10411 del 28/01/2013, Viola, Rv. 254579).

Tanto premesso, deve per l’appunto osservarsi che le censure mosse nei motivi di ricorso alla pronunzia della Corte territoriale si appalesano, per lo più, tese a ottenere una rivalutazione del materiale probatorio raccolto nelle fasi di merito; e che, avuto riguardo alla coerenza e logicità delle motivazioni delle sentenze rese sia in primo che in secondo grado con riguardo al detto materiale, non vi sono spazi per accogliere le censure dei ricorrenti.

2. Procedendo con ordine, è infondato il primo motivo di ricorso, atteso che la Corte territoriale ha debitamente dimostrato di avere valutato la circostanza, pacificamente emersa, secondo la quale l’imputato non aveva bensì rispettato l’obbligo di dare la precedenza, avendo però cura di precisare – sulla scorta del coacervo probatorio debitamente illustrato sul punto, e con ragionamento esente da censure rilevabili in questa sede – che alcun accertato rilievo causale ebbe la manovra di svolta a sinistra che lo S. effettuò all’altezza dell’incrocio, manovra nella quale egli effettivamente attraversò la traiettoria del ciclomotore condotto dalla R., ma a debita distanza e a velocità moderata, ossia calcolando correttamente la posizione del ciclomotore in avvicinamento e completando la manovra prima del sopraggiungere della R., e comunque spiega la Corte di merito – in modo da consentire alla stessa sia il rallentamento sia il passaggio dietro al furgone senza conseguenze (pag. 7 sentenza impugnata).

In ogni caso, emerge un quadro complessivamente assai incerto e malfermo, non solo e non tanto con riferimento all’ipotesi dell’urto fra i due veicoli (ipotesi che, anzi, risulta disattesa dalla maggior parte delle fonti di prova, e che anche il consulente del pubblico ministero si limita a ipotizzare come possibile), quanto e soprattutto con riferimento al fatto che la manovra di svolta a sinistra da parte dello S. avrebbe avuto rilievo causalmente decisivo nella caduta del ciclomotore condotto dalla R..

Sul punto varrà la pena ricordare che, in materia di omicidio colposo da incidente stradale, l’accertata violazione, da parte di uno dei conducenti dei veicoli coinvolti, di una specifica norma di legge dettata per la disciplina della circolazione stradale non può di per sè far presumere l’esistenza del nesso causale tra il suo comportamento e l’evento dannoso, che occorre sempre provare e che si deve escludere quando sia dimostrato che l’incidente si sarebbe ugualmente verificato anche qualora la condotta antigiuridica non fosse stata posta in essere (giurisprudenza pacifica: si veda ad es.

Sez. 4, n. 40802 del 18/09/2008, Spoldi, Rv. 241475; Sez. 4, Sentenza n. 24898 del 24/05/2007, Venticinque e altri, Rv. 236854; Sez. 4, Sentenza n. 5963 del 02/05/1988, Mannuzzi, Rv. 178402).

In tale quadro, mette conto ricordare che in tema di delitti colposi, per stabilire la sussistenza del nesso causale tra la condotta del soggetto attivo e l’evento, occorre verificare la sussistenza non solo della causalità della condotta (ossia della dipendenza dell’evento dalla condotta in cui quest’ultima si ponga quale condicio sine qua non, in assenza di decorsi causali alternativi eccezionali, indipendenti e imprevedibili), ma altresì la sussistenza della causalità della colpa (intesa come introduzione, da parte del soggetto agente, del fattore di rischio poi concretizzatosi con l’evento, posta in essere attraverso la violazione delle regole di cautela tese a prevenire e a rendere evitabile il prodursi di quel rischio).

Orbene, sulla base delle acquisizioni probatorie emergenti in atti, quand’anche fossero nella specie rilevabili profili deponenti per la causalità della condotta (qualificando il comportamento alla guida da parte dello S. come condotta che costituì materialmente condicio sine qua non dell’accaduto), sicuramente detto comportamento non potrebbe risultare determinante sul piano della causalità della colpa (atteso che, pur non avendo dato la precedenza al ciclomotore della R. nello svoltare a sinistra, lo S. non determinò nella specie la condizione di rischio che le regole sulla precedenza miravano a prevenire e che rendevano evitabile, avendo egli posto in essere la manovra con ampio anticipo rispetto al sopraggiungere del ciclomotore ed avendola completata in modo tale da consentire alla R. di procedere comunque nella sua direzione).

3. Per ragioni sostanzialmente sovrapponibili è infondato anche il secondo motivo di ricorso, atteso che il dato temporale costituito dalla immediatezza della caduta del ciclomotore, subito dopo la manovra di svolta effettuata dallo S., non è in sè sufficiente a operare una ricostruzione alternativa dei fatti –

peraltro del tutto congetturale e disancorata dalle oggettive emergenze probatorie – e deve essere letto unitamente a quanto già chiarito a proposito della insanabile carenza di prove emersa in sede di merito (e debitamente motivata dalla Corte territoriale) circa la rilevanza causale della svolta a sinistra effettuata dall’imputato rispetto alla caduta del ciclomotore.

4. Non dissimili le ragioni in base alle quali deve ritenersi infondato anche il terzo motivo di ricorso, con le seguenti, ulteriori precisazioni.

In primo luogo, va ribadito che in tema di prova, in virtù del principio del libero convincimento, il giudice di merito, pur in assenza di una perizia d’ufficio, può scegliere tra le diverse tesi prospettate dai consulenti delle parti, quella che ritiene condivisibile, purchè dia conto con motivazione accurata ed approfondita, delle ragioni della scelta nonchè del contenuto della tesi disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti e, ove tale valutazione sia effettuata in modo congruo, è inibito al giudice di legittimità procedere ad una differente valutazione, trattandosi di accertamento di fatto, come tale insindacabile in sede di legittimità (da ultimo vds. Sez. 4, n. 8527 del 13/02/2015, Sartori, Rv. 263435); al riguardo va evidenziato come la pronunzia impugnata (ancor più se letta congiuntamente alla pronunzia di primo grado, trattandosi nella specie di “doppia conforme”) offre ampia ed argomentata contezza del convincimento della Corte territoriale circa la ricostruzione in fatto operata attraverso gli apporti dei consulenti, prendendo in esame tutte le diverse ricostruzioni e valutandone criticamente il percorso argomentativo.

In secondo luogo, è ius receptum (convenientemente richiamato dalla Corte di merito) che, nel dibattimento del giudizio di appello, la rinnovazione di una perizia può essere disposta soltanto se il giudice ritenga di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (da ultimo vds. Sez. 2, n. 36630 del 15/05/2013 – dep. 06/09/2013, Bommarito, Rv. 257062: nella citata pronunzia la S.C. ha precisato che, in caso di rigetto della relativa richiesta, la valutazione del giudice di appello, se logicamente e congruamente motivata, è incensurabile in cassazione, in quanto costituente giudizio di fatto). La lettura degli atti rende evidente che, sulla scorta delle prove raccolte, non vi erano lacune probatorie colmabili attraverso una perizia su alcuno degli aspetti rilevanti ai fini della ricostruzione dell’accaduto.

5. Infondato è anche il quarto motivo di ricorso. A fronte della deposizione di B.E., della cui omessa valutazione si dolgono i ricorrenti, la Corte di merito ha fornito adeguata e convincente motivazione circa il fatto che la R. scrisse gli sms mentre si trovava alla guida del suo ciclomotore negli istanti immediatamente antecedenti il sinistro: è a tal fine affatto dirimente il testo dei messaggi riportati a pagina 10 della sentenza, in cui la stessa vittima, nello scrivere uno dei suddetti sms a un’amica poco prima dell’incidente, afferma esplicitamente “sono in moto”. Siffatto elemento probatorio elimina la necessità di ulteriori approfondimenti, e depone – secondo la tesi accreditata in appello per una fatale distrazione della R. mentre conduceva il suo motorino, distrazione che sarebbe con ogni probabilità la vera causa del sinistro mortale di cui la giovane rimaneva vittima.

6. Per le ragioni dianzi esposte, si appalesa infondato anche il quinto e ultimo motivo di ricorso: ed invero, la formula dell’insussistenza del fatto s’impone laddove manchi (come nella specie) l’elemento oggettivo del reato, o quanto meno la prova certa della configurabilità di esso. E’ infatti pacifico che, nel caso in cui manchi un elemento costitutivo, di natura oggettiva, del reato contestato, l’assoluzione dell’imputato va deliberata con la formula “il fatto non sussiste” (Sez. U, n. 37954 del 25/05/2011, Orlando, Rv. 250975).

7. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
PQM
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2016